
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,37-40
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa, infatti, è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Il brano del Vangelo di Giovanni in cui emerge lo stretto rapporto tra il Padre del cielo e il Figlio che s’incarna e vive la sua esperienza umana, mostra un’esperienza di vita che cancella ogni realtà di morte. Un brano che mostra palesemente l’amore di Dio come qualcosa di incommensurabile che nessuno può impedire. È l’abbraccio che lo stesso Padre dona a ciascuno dei suoi figli … che siamo noi!
Tutto il capitolo sesto del Vangelo di Giovanni ruota intorno all’episodio della moltiplicazione dei pani. Gesù non cerca di farsi spazio tra due ali di folla come un leader; non alza la voce per mostrare la sua potenza; non si limita a sfamare la folla al fine di incrementare le sue “truppe d’assalto” per una guerra da vincere. Nonostante gli stessi uomini e donne si cibino per fame e si sazino abbondantemente travisando anche quanto Gesù aveva detto in precedenza, Gesù continua a mostrare il volto del Padre e soprattutto il suo abbraccio di Padre verso tutti.
Gesù non solo moltiplica il pane, ma soprattutto moltiplica gli abbracci. Il suo è un progetto che non ha precedenti. Egli intende accogliere tutti.
Il suo è un abbraccio di vita con un impegno rivolto a ciascuno.
Richiede non solo di non fermarsi all’abbraccio ricevuto, ma di raccogliere e distribuire gli abbracci, perché “nessun pezzo vada perduto”. Lo dice con una chiarezza che nessuno può mettere in discussione: “tutti quelli che il Padre mi dà verranno a me; e colui che viene a me, non lo caccerò fuori”.
La morte è l’anticamera della vita che ha come primo atto l’abbraccio del Padre. Per questo noi non siamo chiamati a celebrare la morte, ma ad impegnarci per la vita e a continuare ad essere vivi fino all’ultimo respiro.
Come il calore di un abbraccio non ha tempo, così Dio che ci abbraccia sempre è senza tempo. Egli è un Dio che dà la vita per sempre.
L’abbraccio di vita non è qualcosa di virtuale. Vuol dire mettere al centro Gesù e ripercorrere quanto nel Vangelo è stato fatto esplicitamente.
Gesù si lascia abbracciare da Simeone passando dalle braccia di sua madre Maria a quelle del vecchio Simeone nel giorno della sua Presentazione al Tempio; l’abbraccio del Padre della parabola dei due figli
ribelli e testardi non trova nessun paragone nella storia e, sebbene sia una parabola, mostra chiaramente che Dio non disdegna di uscire in ogni momento a recuperare quanto era definitivamente perduto; l’abbraccio fatto a Bartimeo che invoca Gesù per poter riacquistare la vista si concretizza con la sequela del mendicante che lo abbraccia nel suo cammino.
L’abbraccio è sempre segno di vita e di accoglienza. L’abbraccio mostra come Dio, per mezzo di Gesù, si rende continuamente presente perché la vita oggi e nel futuro non ha termine. Infatti, tutto il Vangelo è un grande abbraccio di vita.
Gesù abbraccia i malati e gli emarginati. Non disdegna di abbracciare e accogliere i bambini e nel giorno della sua risurrezione invita Maria Maddalena
a non aver fretta di abbracciarlo, ma a correre dai suoi discepoli per annunciare che la vita ha trionfato sulla morte e sulla croce.
La morte è solo l’anticamera dell’abbraccio di Dio che è sempre vita eterna.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia