
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 10,27-30
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Il pastore ha sempre una grande responsabilità nei confronti delle sue pecore. La sua dev’essere sempre una scelta di simbiosi con l’altra parte. Il pastore non solo deve sentire proprie le pecore, ma deve preoccuparsi di dare loro il nutrimento ogni giorno. Similmente le pecore non devono seguire quanto il pastore fa, ma devono capire il perché propone quanto afferma.
Il pastore non usa il calendario; non consulta il meteorologo; non porta con sé la calcolatrice. Il pastore considera le pecore come sue perché la sua vita è strettamente legata a ciascuna pecora del gregge.
Gesù non usa questa metafora riferita a sé e soprattutto al Padre per inorgoglirsi, ma per indicare le nuove prospettive legate a chi ogni giorno è chiamato a costruire un futuro migliore non solo per le sue pecore, ma anche per tutto ciò che le circonda. Il pastore che Gesù mostra di essere non è un leader politico, non è un despota che sottomette i suoi sudditi. È un pellegrino, un incallito cireneo e un educatore della speranza.

Lui coinvolge e costruisce un mondo nuovo con le sue pecore e mai solo in prima persona.
Ascoltare, conoscere e seguire sono i verbi del pastore. Gesù è il pastore che ascolta il belare delle pecore, le porta al pascolo senza mai distogliere lo sguardo da ciascuna di loro e propone un cammino fatto insieme. Lui è costruttore di futuro. Un pellegrinante che non si ferma di fronte agli ostacoli, ma sa trovare sempre strade nuove da percorrere.
È l’icona del pellegrinante che non dissocia mai pastore e pecore e che mostra che non esiste una Chiesa-comunità del patrimonio, ma solo ed esclusivamentequella della collaborazione.
C’è da domandarsi il perché le pecore tenacemente e testardamente seguono proprio quel pastore e non altri. La risposta non può che essere unica: insieme vogliono costruire un futuro d’amore. Non camminano verso il pascolo e non tornano dal pascolo per convenzione, ma per convinzione. Non sono convenzionali nei percorsi, ma seguono le strade più adatte per produrre sempre il meglio.

È un popolo di pellegrinanti che non si ferma mai perché è fatto di martiri, di servi e di educatori. È il popolo della speranza che non limita mai le sue opzioni ma che opera scelte che non si arrestano mai e che sa di poter sempre aprire porte nuove verso il domani.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia