PROSTARSI E INCAMMINARSI – domenica 27 Maggio 2018

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 28, 16-20)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io so¬no con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Gesù con il suo modo di fare sembra spiazzare tutti a cominciare dagli Undici e per finire a ciascuno di noi.
La proposta contenuta nel Vangelo di Matteo di andare in tutto il mondo e di insegnare l’amore del Padre, la rivoluzione dell’oblatività realizzata da Gesù sulla croce e la provocatorietà dello Spirito sembra proprio riguardare anche noi, uomini e donne del terzo millennio, ingolfati di globalizzazione e d’indifferentismo. Ci riguarda a tal punto che, come battezzati, non possiamo esimerci di pensare di non far parte di quel dodicesimo uomo mancante all’appello. Siamo invitati a “scendere in campo”, proprio ora, e a far parte della “squadra nuova” che, togliendosi la veste battesimale e indossando i paramenti sgualciti della quotidianità, propone il Vangelo dell’oblatività.
Gli Undici di fronte a Gesù sul monte si prostrarono. Non si sottomisero, né diventarono esecutori materiali dalla testa piegata come piccoli schiavi o soldatini inquadrati in un plotone di parata. E’ vero che si presentarono con i loro dubbi, i loro interrogativi e le loro fragilità, ma alla fine hanno colto che era arrivato per loro il tempo della responsabilità.
Anche per noi è tempo in cui dobbiamo cogliere che non serve una “chiesa che s’inchina e che declina”, ma una Chiesa/comunità che cammina.
Come i Magi che arrivati alla grotta di Betlemme si prostrano dinanzi al Bambino e dopo un lungo cammino gli offrono oro, incenso e mirra. Ma soprattutto come gli stessi Magi che tornano “per altra strada”.
La Trinità è l’esperienza del Chiesa che cammina e torna per altra strada. E’ quella che non si arrende, piuttosto accende di amore quanti incontra sul percorso. E’ una strada che pone i poveri al centro, incontra gli ammalati a cominciare da quelli che sono inchiodati sui letti o ignorati da tanti e che all’inizio come alla fine della giornata piega le sue ginocchia dinanzi all’Eucarestia non semplicemente per contemplare, ma soprattutto per cominciare e non terminare mai a non ignorare nessuno.
La Trinità è l’esperienza della Chiesa che “in missione” percorre strade nuove e annuncia la sua parola “senza” contrastare con il Vangelo. E’ attenta ai processi culturali e sociali. E’ quella che diventa meno ieratica, ma acquisisce il volto della misericordia.
La Trinità è l’esperienza della “chiesa di famiglie” che diventa sempre più una Chiesa di popolo, di giovani che si spendono per amore. E’ la Chiesa delle famiglie che promuove la vita, non uccide i bambini e non li usa quando non sono suoi. E’ la chiesa della nuova evangelizzazione che abbatte le strategie e le logiche della supremazia e opta per la valorizzazione delle bellezze del creato, per l’equa distribuzione del denaro e che non rende la sua casa una sorta di “fast food” dove svernare d’inverno o passare le calde serate d’estate.
La Trinità è la Chiesa che dopo essersi prostrata, s’incammina, perché ha il cuore del Padre, le braccia bucate del Figlio e la forza instancabile dello Spirito nelle gambe : a tutti annuncia che Cristo è amore e solo amore.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia