PASTORE NON PADRONE – DOMENICA 21 APRILE

PASTORE NON PADRONE –  DOMENICA 21 APRILE

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,11-18)

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

​Gesù spiazza sempre tutti. E spiazza anche noi. 

Gesù spiazza quelli che stanno al comando e che hanno fatto di tutto per raggiungerlo. Gesù spiazza i generali migliori, i porporati di una certa levatura, i docenti di grido per proporre qualcosa di unico e di inespresso.

Gesù spiazza i genitori dal polso fermo e i genitori senza polso, gli educatori trascinatori e i leader di ogni schieramento mostrando una figura inedita che va oltre ogni tipo di pedagogia espressa.

Gesù spiazza i migliori biblisti ed esegeti perchéparla di un pastore che non è più il re che detta le decisioni del popolo. Gesù spiazza ciascuno di noi soprattutto quando evitiamo di lasciarci coinvolgere nel suo progetto di amore e preferiamo lasciarci scivolare tutto senza mai prendere una decisione nella nostra vita.

​Chi è questo pastore buono, un pastore buono che non è un unico capo al comando? È colui che ama.

Amare non è un verbo da coniugare al presente. Se amassimo solo oggi, avremmo il diritto di non amare piùdomani.

Amare non è un verbo da coniugare al passato. Se avessimo amato solo ieri, vivremmo di ricordi che non tornerebbero più.

Amare non è verbo da coniugare al futuro. Se amassimo solo domani, saremmo degli eterni scontenti del vivere laureati in “lamentologia”, aspettando un giorno che non sapremo mai se verrà.

Amare è un verbo da coniugare all’infinito perché non si ama né solo oggi, né solo domani, né quando lo si è già fatto, ma sempre

Amare è voce del verbo MORIRE (don Tonino Bello). Chi ama come quel pastore del Vangelo non può essere un uomo solo al comando. Amare è provare ogni giorno a realizzare un progetto in cui tutti sono in grado di collaborare per un mondo migliore. Il pastore che ama dà tutto per il suo gregge ama oltre la morte perché la morte è forte come l’amore.

Amare non è un possesso; non è un’occasione al ribasso da prendere al volo; non è una sottomissione per qualche soddisfazione. Amare è operare; è costruire il bene; è realizzare progetti di collaborazione. 

Amare è sempre voce del verbo morire perché non è mai circoscritto. Proprio come il recinto del pastore buono. È da lui che dobbiamo imparare a cercare chi non c’è più, chi non conosce Gesù e chi non ha intenzione di fermarsi al primo avamposto per accomodarsi.

Per tutto questo serve una Chiesa di pastori e di pecore che camminino ma … senza scarpe. A piedi nudi … per oltrepassare e smascherare ogni tipo di male. Una Chiesa senza logiche di interesse. Insomma, una Chiesa scalza non una Chiesa che scalpita.

Una Chiesa che costruisce la pace, ama la vita, serve i poveri, non si rassegna e che non puzza di marcio. Una Chiesa radicata, vitale e dinamica. Una “Chiesa bella” come il “Pastore bello” del Vangelo che non è padrone, ma servitore perché ama tutto e tutti sempre e per sempre senza mai morire. Alla fine l’amore non muore mai!

Il vostro parroco

Antonio Ruccia